In CASA AURORA oltre alle due pareti vetrate che guardavano i monti non lontani della Val Chiavenna, o chissà, della Valtellina o dello Spluga (forse quelle cime nascondevano qualche spelonca di roccia tortuosa della VIA MALA e qualche ghiacciato torrentello tributario del Reno) avevo quattro finestrelle: due, ravvicinate, in area fornelli, guardavano la grande frana che, cinta da larici sgomenti, incombeva sulla strada del Maloja; le altre due, una delle quali era nel bagno di ceramica rosa, guardavano il lato interno della valle. Erano finestre che si potevano tenere chiuse lasciando aperto uno spiraglio da cui fiottava un soffio di aria fredda (si era infatti a una certa altitudine) guarnito in genere di un insetto estivo che, in volo dai prati intorno, si era perduto alla ricerca di aere più caliente.
Stavo spesso alla finestra del bagno da cui guardavo i boschi neri e il verde chiaro di tutti quei prati ancora beatamente così poco cosparsi di villini dal tetto a falda. Tutto lì era super nuovo – la cabina doccia, che non ricordo piastrellata in alcun punto ma tutta una ceramica compatta color rosa confetto, era iperspaziosa, quasi semicircolare e aveva una porta bombata in plastica opalescente, a incastro perfetto. Non lontano, proprio dietro la porta, affisso alla parete come un aggeggio da palestra, si mostrava uno scalda asciugamani bianco che consideravo un superlusso e tendenzialmente usavo come phon quando la nubilosita’ del cielo mattinale evolveva non in semplice velatura ma in annuvolamento persistente, tanto da sconsigliare per quel giorno ogni errance nel circondario boschivo e da indurre a starsene in casa, magari a lavare i capelli, che lì mi venivano pulitissimi (mentre a Bologna, appena li strizzavo nel lavandino, vedevo l’acqua colare scura come terra liquida) ultralucidi, setosi e molto, molto lisci al punto che Alessandro conio’ per loro lo scherzoso appellativo di PELLICCIO SVIZZERO.
Inspiravo un fortissimo odore di erba tagliata e per ore che beatamente sembravano non finire mai, osservavo individui incappellati, che con lunghi rastrelli estirpavano erba. Un tempo una parola come FIENAGIONE potevano capirla tutti. Ora, se la scrivo, chi tra qualche anno potrà? Sarà come ritrovarsi di fronte alle FORMELLE DEI MESI in una cattedrale romanica. Eppure, anche attraverso parole morenti, bisogna testimoniare il mondo antico.